Non mi entusiasmano le giornate dedicate a… oramai è un continuum che scandisce il tempo delle nostre settimane e dei nostri mesi “a tema”. Non mi entusiasmano perché i temi che emergono vengono artificialmente portati sotto i riflettori, a sera si spegne e domani “avanti un altro”. Forse rimpiango il tempo in cui le uniche date rilevanti, le uniche “giornate di…” erano la festa del papà il 19 marzo, san Giuseppe, e la festa della mamma la prima domenica di maggio.
E il 25 novembre? La giornata contro la violenza sulle donne è stata voluta per portare all’attenzione un tema di cui si è cominciato a capire la portata con molta lentezza, incagliato e nascosto nelle dinamiche che sempre si manifestano quando si vogliono rimuovere o allontanare i temi scomodi, quelli che ci spiazzano o ci impauriscono. Come se il non parlarne li portasse piano piano a risolversi da sé. Un’autodifesa dalla paura di situazioni che in una società “pacifica” come la nostra non dovrebbero avere cittadinanza. Meglio parlarne poco, quasi niente. In Spagna, a inizio anni 2000, la scelta era stata quella di non dare la notizia quando una donna veniva aggredita o assassinata, per non scatenare un effetto emulazione.
Ma poi… la statistica, inesorabile, ha cominciato a scandire – nel nostro civile Paese – una morte ogni tre giorni. Inesorabilmente. E la società, le Istituzioni, hanno dovuto guardare in faccia la realtà. Una fotografia che racconta dolore e spesso orrore, che pone pesanti interrogativi sulla capacità delle nostre realtà democratiche di formare i cittadini, di trasmettere valori, di educare le nuove generazioni al rispetto reciproco, alla solidarietà, ai diritti e ai doveri di ciascuno, alla intangibilità di ogni essere umano. Sta tutto scritto nella nostra Costituzione Repubblicana, nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani del 1948, ma non riusciamo a leggere questi princìpi nel nostro quotidiano se il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella denuncia anche oggi che “La violenza contro le donne è una aperta violazione dei diritti umani, purtroppo diffusa senza distinzioni geografiche, generazionali, sociali”.
Da tempo oramai si sta tentando la ricostruzione di una “casa comune” in cui ci sia posto per tutti, in cui nessuno debba sentirsi limitato nella sua libertà di uomo, di donna, di essere umano. Una casa in cui nessuno diventi prigioniero di nessun altro, nessuno debba temere nessun altro. Sono passati 40 anni da quel 1981 quando, con la legge 442, vennero abrogate le disposizioni sul “Delitto d’onore”: ma non sono bastati a far maturare un cambiamento profondo, radicale e consapevole nei rapporti di coppia. Le troppe scarpette rosse sono lì a dimostrarlo. Non è facile cambiare, la strada è lunga e tante saranno ancora le fatiche.
Ma stanno maturando sempre di più le esperienze e le competenze, si costituiscono Associazioni e Commissioni come quelle per le pari opportunità, si mettono a punto nuovi servizi, si correggono le normative quando non portano ai risultati attesi. Si percorre in tante sedi la strada della prevenzione a partire dalla scuola e dalla famiglia e si concentrano gli sforzi verso le nuove generazioni. E’ tornata fra le materie scolastiche l’Educazione Civica, si lavora all’uso consapevole dei social, strumenti dalle potenzialità straordinarie nel bene come nel male perché mai quanto nei social si può incrociare la violenza narrata che diventa incubatrice della violenza agìta. Oggi c’è la possibilità di cogliere precocemente il disagio e veicolarlo su percorsi di protezione da un lato e di guarigione dall’altro, con l’attenzione sempre più concentrata sul versante dell’universo maschile, un versante decisivo. Perché possano tornare nelle loro scatole tutte le scarpette rosse ovunque disseminate.